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IL PARIGINO ADRIAN COSTEA, CONTEMPORANEO DELLA LEONESSA DI GUENNOL E DELLA TORRE DI BABELE ?

Data publicarii: 17.10.2017 11:29:00

 IL PARIGINO ADRIAN COSTEA,

CONTEMPORANEO DELLA LEONESSA

DI GUENNOL E DELLA TORRE DI BABELE ?

 

 

Per creare un quadro chiaro e senza ombra di dubbio, mi permetto di avvertire i lettori di questo testo che affronterò nell’analisi in oggetto, un unico segmento delle capacità e del potenziale dell’artista ADRIAN COSTEA, lasciando da parte molte altre aree professionali e della sua attività, tante sorprendenti e anche contraddittorie, in cui quest'uomo si è manifestato pienamente nei suoi ultimi 50 anni di esilio.

 

Fino dove e che livello di espressione artistica avrebbe poturo raggiungere Michelangelo Buonarroti, senza il generoso mecenatismo di Lorenzo de Medici, del Papa Gulio II e quello di Clemente VII? Nessuno può rispondere. Forse i nomi di questi potenti conducenti di quei tempi sarebbero rimasti da qualche parte lontani, in coda della storia, se Michelangelo non li avesse portati con sè nella posterità, facendo delle loro tombe opere d'arte e dipingendo la Cappella Sistina.
Anche se il contesto è stato in qualche modo diverso, la stessa domanda possiamo porre anche su Molière, Racine e La Fontaine, tutti felici e prolifici, sotto il mecenatismo protettore di Luigi XIV, mecenatismo generoso grazie al quale sono stati istituiti, in tempi relativamente brevi, l'accademia di architettura e anche quella di musica e di scienze, nonché quella di pittura e scultura, per il bene dei contemporanei, ma soprattutto delle generazioni che seguirono. Questa eccezionale e complicata semplicità simbiotica tra i grandi artisti ed i loro grandi sostenitori è scomparsa da tempo nella nostra vecchia Europa. Il numero di creatori di reale sostanza di valore dei nostri giorni è estremamente scarso e basso, ed i loro sostenitori sono sempre di meno.

 

„À la recherche du temps perdu - Alla ricerca del tempo perduto”

 

Durante i miei dibattiti avuti con Adrian Costea sui succitati argomenti, dibattiti iniziati nell'estate del 2015 e continuati fino alla fine di aprile 2016, sono stato nuovamente sorpreso da questo personaggio discreto, difficilmente raggiungibile e misterioso, che ovviamente possiede un'energia veemente, che non esita ad essere brutale quando si tratta di esprimere idee, principi e criteri, cui egli è sia padrone che schiavo. 

La sorpresa, ammetto anche adesso, dopo più di un anno, è stata in realtà uno shock. Durante i colloqui di cui sopra, avrei scoperto, passo a passo, il ritmo talvolta sostenuto e appassionato, a volte convulso e malinconico delle rivelazioni frammentate e inaspettate dell’artista Costea, dell'esistenza, segreta fino ad allora, dei suoi due grandiosi progetti, due visioni filosofiche allo specchio, due concetti artistici e architettonici impossibili da inquadrare. A prima vista, mi sembrava che erano solo due utopie in terra. Ma anche così, la loro grandezza simbolica ed estetica era ed è così provocatoria che mi giustifica, in tutto, di allargare lo spettro e di chiedermi, guardando al futuro, come sarebbe l'intera umanità senza le orgogliose utopie di alcuni e di altri, che non facevano altro, nel tempo, che portare allo scoperto, con o senza avvertenza, quello che era di più prezioso nella profondità dell'essere umano. 

Solo così abbiamo avanzato, attraverso persone guida, atipiche e determinate, con voglie incontrollabili e una tenacia iniziatica veramente grande, che hanno superato la propria epoca con la chiaroveggenza, preoccupandosi e spaventandola, che più delle volte, l’hanno catapultata in un nuovo tipo di futuro. Tali tentativi, tuttavia, hanno sempre imposto sacrifici. È così che gira la ruota del mondo. Non è possibile diversamente. Come sarebbe stato il mondo senza faraoni, senza Alessandro Magno, Ginghis Han, Vasco da Gama, Cristoforo Colombo, Leodardo da Vinci, Jules Verne, Einstein o Nikola Tesla? Tutti, a modo loro e a loro tempo, hanno finito per cambiare tutta la nostra esistenza in modo decisivo, anche se l'impatto finale sembra ritardare ad apparire e può estendersi per molti secoli o anche millenni.

 

 

„L'oiseau du paradis - L’uccello del paradiso” (α)

 

Partendo da questa realtà e motivato dall'esclusività di tutto quello che ho sentito sui due concetti inventati da Costea, ho deciso, con il suo accordo, di portare all'attenzione di tutti gli interessati, di oggi, domani e successivamente , quello che l'artista mi ha offerto in merito al significato e all'impatto di questi due concetti nel mondo, se e quando qualcuno li capirà e li amerà abbastanza per dare loro vita. 

Ecco brevemente, le mie conclusioni.

Adrian Costea, nella sua corsa predestinata, si è fermato per il momento, anche qui, a Bucarest. Ho l'impressione che si è offerto una pausa, dopo quasi mezzo secolo di terribili peregrinazioni a lungo e a lato della terra, durante le quale ha conosciuto e vissuto in pieno sia la gloria esuberante che il crollo cupo. Tuttavia, come ho potuto notare, Costea continua a creare, forse, credo io, adesso più intenso che mai, ma isolato e abbandonato da quasi tutti e tutto. Non è più, immagino, né molto ricco né estremamente povero, ma è profondamente marcato dal fatto che è stato definitivamente e violentemente spossesato, sia dall'aureo e dall’araldica romantica della gloria e del crollo, che di gran parte della sua identità, fatto che, tra le altre cose, lo mette nella posizione di essere ignorato, con disprezzo calcolato e dimostrativo, da vari soggetti fisici e/o giuridici, di cui una gran parte lo conosceva molto strettamente, una volta. Come le quaglie dell'isola di Capri, di cui Axel Munthe parla nel „Libro di San Michele”, cui occhi erano tolti per farle cantare, Adrian Costea sembra essere costretto anche egli, a sua volta e a modo suo, a continuare a „cantare” l'arte in un mondo altrettanto scuro, dove, a seguito di eventi distruttivi, anche il suo sole è rimasto immobile ed estatico in un punto fisso, di cui non si alza più, né scende mai. 

Qui, in questa analogia con le quaglie cieche dell'isola di Capri, penso che ci sia la chiave per comprendere „il mistero Costea”, ma in un senso più profondo e più drammatico: Adrian Costea è accecato per vedere! Ma non nello spettro comune dei passanti che attraversano la vita, ma in un altro, senza tempo e inaccessibile, diverso, solo tramite dolore. E continuerei con l'analogia, affermando, senza timore di sbagliare, che Adrian Costea si acceca infatti da solo, per essere in grado di guardare.
Quindi non si tratta – per spiegare l'ossimoro – di un gesto di auto-dannazione, come in Edipo, ma di uno altezzoso, per provocare gli spiriti della creazione, che egli sfida e invoca contemporaneamente. Costea rinnega la sua condizione temporale di uomo, ma cerca allo stesso tempo di esprimersi nel linguaggio materiale del mondo che rifiuta. È una contraddizione di cui il risultato non riesce di nuovo ad uscire, nel piano esistenziale, è lo stesso, come nel caso di Edipo: la dannazione.
Il vortice cosmico in cui è entrato volontariamente è il privilegio, ma anche la punizione dell'artista: egli crea come un Dio, ma soffre come uno schiavo.
 

E in questo morboso deserto, in cui l'arte contemporanea, entrata in putrefazione, fa l'implosione, rimangono, verticali, le opere di Adrian Costea, maestose e inutili come delle navi nel deserto, segno che una volta qui c’era u mare. In questa patologia pandemica del crollo dei valori estetici, le sculture di Costea sembrano salire.
Ma no, queste rimangono sul posto, uguali a se stesse, come sono state concepite, mentre i trucchi circostanti crollano. È infatti un'illusione ottica dell'ascensione, perché i punti di riferimento sono fissi. È come quando le acque di un'oceano si ritirano ed il rilievo montuoso dal basso, sembra salire.

 

 

„L'oiseau du paradis - L’uccello del paradiso” (Ω)

 

Ma, come se non bastasse, la gravità e il mistero delle sue sculture sono amplificate dal loro rifiuto di lasciarsi scoperte e decifrate a chiunque e comunque. Eccessivamente ampio come messaggio, la sua opera in qualche modo, distorce la prospettiva della realtà comune, disturbando e impedendo lo spettatore non avvisato di percepirla. La scultura dell'artista naviga solitaria in una zona cieca, di mancato combattimento, dove il silenzio è una condizione obbligatoria e dove, difficilmente si può connettere qualsiasi scambio o forma di comunicazione.

 

Da molti anni, Costea produce, ritirato e persino nascosto agli occhi del mondo, una scultura venuta da sconosciute lontananze atemporali, una scultura tanto essenziale e viva, che sfugge non rilevata nel nostro contesto rigido e e programmato a reagire, solo all'esistenza di alcuni modelli rigorosamente predisposti e verificati all'unanimità e accettati nel tempo, dalla mente comune. 

 

E poiché siamo quasi tutti sottoposti ai dogmi di un sistema rigido, ripetitivo, consumato e di usura, il coraggio di una visione indipendente e senza vincoli diventa un lusso troppo poco attraente. Desidendo però, accedere e comprendere, più da vicino ed in profondità, l'anatomia del meccanismo di escomunicazione di questa invisibilità ed omertà artificiale, la forma e la coerenza di un alter ego come dettato da una dannazione, ho tormentato Costea, quando e quanto è stato possibile, con una pioggia di „perché?” e „come?”.

 

In una prima parte, ho ricevuto solo frammenti di risposte sparse che alla fine non hanno fatto altro che addensare la nebbia. Fino a quando, una notte, ad aprile del 2016, Costea improvvisamente rompe il silenzio e, in un messaggio di sole due frasi, confessa: Sono orgoglioso di tutto quello che non ho potuto creare” e Mai l'infinito mi è stato piccolo“(13.04.2016). E scompare di nuovo. 

 

Cosa e quanto puoi capire di un linguaggio così ellittico e parabolico? ... Una questione piuttosto retorica perché, in realtà, un simile modo di pensare - e implicitamente, un tale atteggiamento – non fa altro che esporre, anche se solo in parte, indicandoci l'orbita che definisce e caratterizza la sua intera opera, se non l'intera esistenza.

 

Per penetrare nell'intimità della sua creazione, ho capito con il tempo, che devi prima sbarazzarti dei pregiudizi, guardandolo, se ci riesci, solo nella sua propria luce, senza cercare di archiviarlo con la forza, in qualsiasi insettario già noto e senza spingerlo tra le cinghie di qualsiasi confine, indipendentemente quale.

 

Primo concetto: „Una esclamazione di 4m20”

 

Di tutte le opere di scultura, attualmente esposte alla Galleria Sarroglia di Bucarest, la più imponente viene chiamata „À la recherche du temps perdu – Alla ricerca del tempo perduto”. Erano già passati alcuni anni da quando stavo ancora girando intorno a questa opera monumentale, guardandola leggermente intrigato e con il sentimento che, o non sono stato io, in grado di decifrare la pienezza del suo messaggio, o non mi era stato raccontato il tutto sulla stessa, o sia una cosa che l’altra. Il risultato era quello di confermare che i miei sospetti erano ben fondati.

 

Di colore nero opaco ed eseguita in acciaio massiccio, l’opera supera i 4 m di altezza e pesa circa una tonnellata.

Il momento dell’ispirazione, sia scultoreale che architettonico, che cercherò di decifrare ed analizzare successivamente, è stato innescato in un certo momento, dall'incontro dell'artista che si trovava in quel periodo tra adolescenza e la sua prima giovinezza, con un uccello raro, emblematico, creatura dei grandi deserti dell'Africa settentrionale.

La scultura di Costea, esposta alla Sarroglia è l'incarnazione simbolica del maschio di questa specie chiamata Outarde Houbara, sorpreso nella sua più spettacolare ipostasi ritualistica, con il collo teso e contorto verso un'alba o un tramonto imminente, ma invisibile a noi, spettatori.

 

L’opera è travolgente attraverso maestosità e atteggiamento, ma anche attraverso i riferimenti subliminali che ci suggerisce. Circondandola a passo e guardandola con attenzione, hai la sensazione di una polifonia assordante che ti avvolge, che poi ti assorbe. Sembrerebbe che non uno solo, ma un migliaio di Outarde Houbara alzano il grido al cielo, riverberando in onde infinite di echi. Ma questo non è altro che un amplificatore impressionante di spirito dello spettatore, perché quello che sente o udisce ognuno, è la voce del proprio vissuto al momento dell'impatto con la scultura in acciaio di Costea. L’uccello, maestoso e angolare nell'estremità superiore della scultura, ha le ali che si aprono in modo altezzoso, ma non per combattere, bensì per annunciare, a seconda dei casi, sia la fine che l'inizio della notte, sia l'inizio che la fine della giornata. È „l’orologio di Dio”, come definita dal creatore, nel testo inciso sul corpo dell'opera: una delle guardie della piccola eternità umana” che avverte l'umanità con emfasi e tenacia, dell'imminente arrivo o scomparsa del re Sole”. Da questo momento in poi, si stanno profilando all’orizzonte le prime linee del primo concetto di Costea.

„Questa scultura in acciaio non è altro che un semplice e primo prototipo, solo un modesto preliminare di un edificio, concetto e progetto architettonico importante”, mi avverte, in modo ripido, il creatore.

 

Così incominicia la mia iniziazione, su un desiderio monumentale nascosto che ha ossessionato Costea negli ultimi 46 anni. Al momento dell'emergere di questo concetto architettonico, ma anche molto più tardi, la costruzione di un simile edificio, tecnicamente non avrebbe potuto essere realizzata. Adesso però, è del tutto plausibile.

Ma chi avrebbe osato fare il passo e assumersi una tale responsabilità?

Soltanto chi ne comprende il senso e l’opportunità - avverte, categorico, l’autore, nel suo testo provocatorio: „Il Paese, la città o l'uomo che avrà abbastanza coraggio per sollevare questa pietra e assumersi questa responsabilità, segnerà tramite la sua decisione, definitiva e definitoria, sia il proprio destino che l'intera storia del mondo in cui viviamo”.

 

„Una imperativa chimera architettonica”

 

Passando dalla fase di prototipo a quella di edificio, Costea decise che anche il nome originario subisca una trasformazione, un adattamento, in corrispondenza alla logica estetica e funzionale del monumento immaginato. In questa nuova ipostasi, il titolo è diventato: „À la recherche du temps perdu, un voyage vers le centre de l'être – Alla ricerca del tempo perduto, un viaggio verso il centro dell’essere”.

 

Questo nome formalizza e allo stesso tempo indica lo scopo e il destino di questo progetto. Da qui, entriamo già nell'universo nascosto dell'artista e cominciamo a testimoniare l'emergere e la configurazione di un nuovo concetto che, nella visione di Adrian Costea, rappresenta la sintesi di altri quattro concetti scultorei-architettonici, convalidati oggi dalla storia e impregnati profondamente nella memoria dell’intera umanità: la Statua della Libertà (New York), la Torre Eiffel (Parigi), il Centro „Georges Pompidou” (Parigi) e il Museo „Solomon R. Guggenheim” (New York).
Come struttura culturale e storica, aggiungerei, di propria iniziativa, per una più ampia e precisa visibilità delle vere intenzioni di Adrian Costea, sia la Biblioteca che il Faro di Alessandria, entrambe costruite nel secolo III a.C. dal Re Tolomeo.

 

 

 Bozza per il progetto, inizio del 1970

 

La visione di Costea, veramente faraonica, accumula e supera assolutamente tutto ciò che è stato pensato o realizzato finora nel campo della costruzione architettonica e monumentale.

Perché „À la recherche du temps perdu, un voyage vers le centre de l'être – Alla ricerca del tempo perduto, un viaggio verso il centro dell’essere”, non è l’edificio in sintonia con la moda del giorno, né la scultura, sia essa anche monumentale, neppure entrambi insieme. É „una imperativa chimera architettonica”, come anche Costea la chiama, una danza ascensionale, geometrica e organica di una diversità di volumi e forme (parallelepipedo, tronco di piramide, cubo, cilindro, sfera, disco e cono, più triangolo, rettangolo, cerchio e quadrato), ma allo stesso tempo, lo spazio sofisticato e complesso della più grande enciclopedia planetaria mai immaginata, che mira a rendere l’essenza dell'intera storia del pensiero umano e dei fatti di questo pensiero.

 

È una costruzione asintotica all'infinito, cui ascesa non può essere sbarrata, penso io, che solo temporaneamente, da possibili e/o imprevedibili difficoltà tecniche che non possono essere totalmente escluse. O, piuttosto, il rifiuto di coloro che il concetto di Costea lascia ciechi all'indifferenza o, peggio, li spaventa. Guardando al progetto, ora anche da questo punto, non posso pretendere di non sentire, da qualche parte in lontananza, arrivando di corsa rapida, i primi accordi in sottofondo ed in onde successive, del bolero di Ravel...

 

Ma, tornando indietro. Anche l'altezza che potrebbe, secondo le abitudini della nostra epoca, sembrare l'attributo principale dell'opera, è altresì una conseguenza logica e meccanica (modulata secondo la grandezza e capacità reali, dei desideri e dalle necessità del presuntivo e intuitivo futuro proprietario) dell'invenzione concettuale di Costea e, in nessun caso, un suo ordinatore.

Perché Adrian Costea non compete con architetture prive di contenuto concettuale, cui sola virtù contemporanea è la semplice altezza, più o meno tubolare. Infatti, Costea non entra in nessuna concorrenza con assolutamente nessuno, in nessun campo e in nessuna epoca, l'unico rapporto con qualcosa fuori di se stesso, è solo una forma segreta di collaborazione con l'Universo, quindi con la Divinità, da cui egli prende in prestito la magia e la bellezza delle forme geometriche primordiali, ma anche la simmetria, l'equilibrio delle proporzioni, il ritmo e il senso di organizzazione dei volumi.

 

Nimrod al superlativo

 

Esiste però, in questo primo concetto ed eccessivo progetto scultoreo-museo-architettonico di Adrian Costea, anche un'altra dimensione che davvero ti dà brividi, perché resenta apertamente, sia la schizofrenia pura, che quella della perdizione o della patologia della genialità. Nel senso ancestrale e mitologico della storia, il progetto di questo artista, nato in Romania, rappresenta, nientemeno, la ridefinizione al superlativo della ancestrale TORRE DI BABELE. In altre parole, Adrian Costea mira a penetrare il futuro, reinventando ed estrapolando il progetto perduto del re Nimrod, partendo, il colmo, dallo stesso tipo di obiettivo: la Torre di Babele, doveva raggiungere il cielo e tutta l'umanità viverci dentro e nei suoi dintorni, parlando tutti un’unica e sola lingua. Nimrod, però, ha voluto la costruzione della Torre di Babele non per portare gloria a Dio, ma per glorificare se stesso, attirando così la severa punizione della Divinità, che ha bloccato la comunicazione, imponendo una irrimediabile diffusione delle persone per tutta la terra, in un caos cui gusto è amaro ancora oggi e più preoccupante che mai.

 

„La Torre di Babele” di Pieter Bruegel

 

Da questo punto preciso, Adrian Costea si separa finalmente dal re Nimrod, cambiando la „malta”concettuale: „À la recherche du temps perdu, un voyage vers le centre de l'être – Alla ricerca del tempo perduto, un viaggio verso il centro dell’essere” è chiaramente dedicato sia alla Divinità che all'intera umanità, attraverso il gallo ambasciatore Outarde Houbara, investito dall'autore anche con il titolo di „orologio di Dio”: „Questa opera non è altro che il mio omaggio supremo alla creatura divina, incaricata a svegliare tutto il pianeta finché continua esistere. La sua canzone segna ogni mattina, senza il minimo errore possibile, una nuova separazione per una nuova speranza: una vita più luminosa, più forte, più bella, più serena, più piena d’amore e generosa che mai”.

 

Queste parole, commoventi e disperate allo stesso tempo, fondendo la preghiera con il giuramento, in qualche modo spiegano il sentimento paradossale di paura mescolata alla gioia, che hai davanti all’opera monumentale, anche nella sua forma attuale, in „miniatura”. Confesso che, per quanto mi riguarda, dopo il primo contatto visivo con l’opera di Costea, nei minuti che seguirono, quasi terrorizzato, ho guardato con panico all'orologio per vedere quanto tempo mi è rimasto ancora da vivere.

Perché questo gallo dell’arido deserto, emblema di tutto ciò che può essere assimilato alla nozione di gallo, ha qualcosa di implacabile ghigliottina metafisica, che rompe l'oscurità (passato) dalla speranza del futuro (luce). Il pensiero che non sai e mai potrai sapere, né quale sarà il verdetto finale, né da quale parte della ghigliottina ti troverai nel momento della sua caduta, genera e amplifica geometricamente la paura, l'ammirazione ed il rispetto.

 

Se la scultura „À la recherche du temps perdu – Alla ricerca del tempo perso” risveglia questo tipo di sensazioni e sentimenti nel suo stato attuale, di semplice e primo prototipo, sembra facile prevedere a quale scala e velocità le emozioni artistiche saranno amplificate, in caso di concretizzazione della sua variante architettonica che ha prevista nella sua prima e più modesta versione, un’impronta a terra di 3.600 mq ed un'altezza di 420 metri. Eppure, sono convinto che ci siano estremamente pochi, coloro che oggi possano davvero stimare l'immensità e l’universalità dell'impatto finale.

 

Costea: la terza soluzione

 

Ci sono stati, finora, nella storia, solo due „folli” che hanno cercato di unificare l'umanità. Il primo è stato l’accadiano Nadrod (già evocato in questo testo), tramite il suo tentativo di sollevare la Torre di Babele, dove tutti gli abitanti dovevano vivere insieme, in pace e in armonia, parlando la stessa lingua.
Il secondo è stato il traciano Alessandro Magno, tramite il matrimonio mistico dei suoi 10.000 soldati, con le donne persiane. Entrambi hanno fallito a causa dello stesso immenso errore di concetto. Essi hanno eludito o ignorato la dimensione interiore, complessa e imprevedibile dell'essere umano, che ha infinite e sorprendenti aspirazioni.

 

 

Re Nimrod, rappresentato sotto forma di Toro sacro

 

Non è il caso di Adrian Costea, che oggi propone a tutta l'umanità una TERZA SOLUZIONE: quella della convivenza, della comunione e, infine, forse anche dell'ultima salvezza, con il sostegno di un edificio con articolazioni funzionali di una dimensione ancora sconosciuta, impressionante in termini di grandezza, inquietante come espressività artistica ed irresistibile come forza di attrazione e polarizzazione dell'interesse umano, „TUTTO IN UNO SOLO LUOGO”, come chiamato e messo in evidenza in modo suggestivo dal suo creatore.

 

Infatti, Costea non fa altro che proporre all'umanità un salto enorme e coraggioso nel futuro, attraverso e con l'aiuto di un meccanismo da lui creato, sotto forma di un edificio-tempio-museo-scultura-monumento, che l'artista definisce come un crogiuolo e santuario dell'arte contemporanea, ma anche un progetto educativo, culturale, urbanistico ed immobiliare”, sia attraverso l'esecuzione che soprattutto attraverso lo scopo e la sua vocazione interna ed esterna. Tuttavia insisto, anche a rischio di ripetermi, di esprimere la mia paura che la nostra realtà circostante, prigioniera esausta di innumerevoli ed infiniti conflitti mondiali, ci proibisca di capire l'importanza, la grandezza, il numero e la diversità delle conseguenze che possono e deriveranno dalla realizzazione, messa in servizio ed uso effettivo di questo progetto.

 

La differenza concettuale essenziale tra la Torre di Babele e l'edificio di Adrian Costea è la sostituzione del LINGUAGGIO COMUNE imposto da Nimrod, con il LINGUAGGIO COMUNE ora proposto da Costea: il linguaggio dell'arte e della cultura come base fondamentale del dialogo interumano, in flagrante contraddizione con tutto ciò che viviamo al momento a livello mondiale.

La Torre di Babele sarebbe stata una prigione grandiosa e ovviamente unica, ma pur sempre solo un prigione. „À la recherche du temps perdu, un voyage vers le centre de l'être – Alla ricerca del pempo perduto, un viaggio verso il centro dell’essere”, è un edificio altrettanto labirintico e grandioso, dove non ci si perde e non si è obbligati a rimanere, ma se si desidera ritornare in modo insistente, cercando costantemente di partecipare in modo attivo alla realizzazione del proprio futuro, si trova così la soddisfazione e il senso.

 

La Torre di Babele è stata l’opportunità (perduta) di re Nimrod di rimanere nella memoria dell'umanità attraverso il suo sogno titanico.. „À la recherche du temps perdu, un voyage vers le centre de l'être – Alla ricerca del tempo perduto, viaggio verso il centro dell’essere, è ora l’opportunità di 7 miliardi di persone ad uscire, fintanto che c'è tempo, dal loro slittamento apocalittico, attraverso un'autentica e pragmatica utopia, quella di Adrian Costea. Se non sbaglio, l'artista ci propone e ci incita, infatti, attraverso il suo progetto, ad attivare e praticare l'amore infinito e incondizionato tra la gente, che fondendosi, si fonde con tutti e tutto quello che abbiamo, sappiamo e possiamo, in un singolo e unico popolo pianetario.

 

Leonessa di Guennol: „ Con la perla in mano, alla ricerca della penisola perduta”

 

Una volta arrivato in questo punto della dissertazione, vorrei attirare l'attenzione del lettore di questo testo, su un fatto strano e paradossale, quello che l'arte scultorea di Costea possa essere rivendicata, con uguale giustificazione, da tutte le grandi culture del mondo, dalla Mesopotamia/Sumer a Cucuteni e Hamangia, attraversando la civiltà Cicladica del Mar Egeo. L'ultima prova materiale di questa stranissima universalità è stata da qualche tempo in circolazione da qualche parte nel mondo. Dico in „circolazione” perché infatti si è volatilizzata (MALK) mentre stava andando verso la persona per cui è stata creata e a cui appartiene di diritto (SHBKALT-Q), ma alla quale l’opera non è mai arrivata. Quindi chi la possiede oggi, la possiede in modo illecito.

 

   

„La Leonessa di Guennol”, scultura datata 3000 - 2800 a.C., scoperta a Shara, al Tempio di Tell Agrab, da Leonard Woolley

 

Si tratta di una piccola scultura, di circa 45 cm di altezza, ma travolgente con la sua monumentalità intrinseca. Compatta ed ermetica a prima vista, tuttavia contiene due spazi interni invisibili e inaccessibili agli ignari. L’opera è intitolata „La Corne d'Abondance de Gaïa – La Cornucopia di Gaia” ed è una vera e propria onda di urto che sembra attraversare in modo fulminante, 5.000 anni di esistenza umana. Nel suo laboratorio segreto di alchimista non dichiarato, Costea ha inventato questa volta una miscela eteroclita e occulta di avorio, bronzo e acciaio massiccio, lucidato, nichelato e con patina, nell'asse della quale, attraverso due incisioni, ha inserito e fissato una sorprendente replica, perfettamente identica, di pietra nera, a scala reale, della famosa e fantastica Leonessa di Guennol (*), scultura antropomorfa, creata nei momenti di grande effervescenza degli inizi della civiltà umana, contemporaneamente alla ruota e alla scrittura cuneiforme, ma anche dei primi gruppi architettonici dell'umanità, da qualche parte sulle rive della Tigre e dell'Eufrate.

 

L’opera nel suo complesso, rappresenta il punto di fusione o la forma di alleanza tra le due estremità della nozione di tempo storico, come noi lo concettualizziamo.  La manipolazione dell'„alchimista” è stata completata dall'emergere di un oggetto d'arte con un forte carattere mistico, religioso, spirituale, filosofico e inevitabilmente semiotico, un oggetto posizionato in un perfetto equilibrio, al limite estremo tra il figurativo organico e la geometria matematica. La forza e il potere di espressione di questa scultura sembrano arrivare dalle profondità della preistoria, superano la storia, rompono il presente e spariscono in un futuro impossibile da disegnare o quantificare. Una riverenza incondizionata, ma anche un ponte immaginario senza precedenti, gettato nel tempo, tra il passato immemorabile, perduto, ed il futuro non ancora nato.

 

„La Corne d'Abondance de Gaïa – La Cornucopia di Gaia”

 

Ma le cose non si fermano qui. Come ho già sottolineato sopra, nell'intimità di quest’opera, con firma autografata „A. Costea”, con lo scalpello, in bronzo, si trovano incastrati e sovrapposti, due spazi segreti.

Il primo di questi spazi, quello nella superiore, è stato progettato sotto forma di un emisfero ed è destinato come urna, per le eventuali ceneri di ipotetici morti inceneriti. Del secondo spazio, che si trova nella parte inferiore, so solo che è di forma cubica e sul senso e/o la funzione di questo spazio non sono riuscito a sapere ancora nulla.

Abituato, in qualche modo, con la prospettiva del pensiero visionario di Adrian Costea, nella seconda parte dei nostri colloqui dell’anno scorso, ad un certo punto, mi è stato confermato anche il sospetto che neanche quest’opera non è, a sua volta, altro che un semplice prototipo in piena metamorfosi di cui nascerà, un giorno, un altro disegno architettonico senza precedenti che porterà il nome e avrà la funzione, questa volta, di tempio funebre.

 

Adrian Costea et son oeuvre "La Corne d'Abondance de Gaïa"

 

Ed eccoci di nuovo, faccia a faccia, con un altro e colossale nuovo. Qui e ora, entra in scena il secondo concetto di Adrian Costea, quello che così chiude il cerchio. Quest'ultimo potrebbe essere, per la prima volta in assoluto, il primo tempio della penitenza spirituale dell'umanità, davanti alla sua gloriosa infanzia. Un'altra espressione sofisticata di architettura monumentale, con grandi implicazioni filosofiche, morali, intellettuali, spirituali ed estetiche, per tutta l'umanità.

 

In nome dell'eternità della vita e della morte

 

L'idea di associare due simboli, apparentemente così prive di contingenza, come il passato morto, „La Corne d'Abondance de Gaïa – La Cornucopia di Gaia”,  ed il futuro non ancora nato, „À la recherche du temps perdu, un voyage vers le centre de l'être – Alla ricerca del tempo perduto, un viaggio verso il centro dell’essere” – ovvero anche l'eternità della vita, e l'eternità della morte – turba in profondità l’integralità del suolo dell'umanità, come la lama d'acciaio di un aratro conficato, fortemente e profondamente nella carne del solco, per accelerare e perpetuare la sua fertilità. Guardando le due sculture-concetti-progetti-monumenti, analizzate sopra, riesco a vedere la miriade di differenze che le separano, ma anche la loro connessione irrimediabilmente complementare.

 

Faccia a faccia, i due monumenti architettonici, quello della vita e quello della morte, rappresentano un ciclo completo che renderebbe l'ultimo passaggio dalla pura energia cosmica, al concreto palpabile. Entrambi hanno un parossismo e una furia feroce di cambiare radicalmente il corso della vita dell’uomo su questa terra, giocondo, ad alta velocità e molto in alto, uno con l’infinito della vita, con il futuro, l'altro con l’infinito della morte, con il passato, ed entrambi con il mistero senza tempo e spazio. Arrivato qui, continuo a chiedermi da più di un anno, dove e quando è mai stato segnalato un tentativo così concreto, frontale, diretto e massiccio, per controllare l'assoluto. Da quando mi è apparsa questa confusione, che sta crescendo in intensità, continuo a frugare e cercare, e non riesco a trovare una risposta.

 

Per me, è ovvio, come già detto prima, che nel nostro mondo odierno, così veloce e superficiale, è poco probabile che i due concetti abbiano alcuna opportunità, perché è difficile, se non impossibile, intenderli e, soprattutto, accettarli. Penso che il peso più grande sia, infatti, nell'essere in grado di adottarli, in modo da salire alla loro altezza, per dar loro vita. Questo gesto significa che abbiamo raggiunto il massimo grado conosciuto di coscienza. Vorrei sperare, ma non sono affatto ottimista.

 

Nel 2011, sbalordito dalle scoperte che continuavo a fare successivamente, durante i vari incontri con Adrian Costea, ho cercato istintivamente, intorno a me, il sostegno di un'altra opinione, da un conoscitore solido e titolato, con occhio preciso e lunga esperienza, nei sofisticati meandri delle arti plastiche contemporanee. Così sono arrivato a chiedere al critico d'arte Pavel Şuşară, se non sono per caso la vittima di un errore di percezione o se le opere di Costea, che avevo appena visto, non siano per caso solo il prodotto di un qualche tipo di incidente o caso bizzarro. 

 

Allora, nel 2011 l'esperto Pavel Şuşară mi ha dato una risposta precisa e mirata che, solo ora, nella nuova prospettiva delle due visioni complementari dell'artista („À la recherche du temps perdu, un voyage vers le centre de l'être – Alla ricerca del tempo perduto, un viaggio verso il centro dell’essere” „La Corne d'Abondance de Gaïa – La Cornupia di Gaia”) si fa riferimento ad un possibile svincolo del nodo gordiano: Ha una creatività inarrestabile, non importa quello che tocca ... Anche in politica, nella diplomazia e negli affari, è stato creativo al più alto livello, al di là delle conseguenze di questa creatività allucinante. Voleva fare un libro sulla Romania (٭٭), lo ha fatto, totalmente non convenzionale e con un coinvolgimento totale. E comunque, diverso da quello che chiunque si aspettasse: denso, sensibile, sorprendente, voluttuoso, tenero e, certamente, così maestosa e monumentale. Costea ha una paranoia ed un flusso continuo della creazione che non ho mai incontrato in nessuno, in nessun campo. E come scultore egli si trova in un universo tutto suo, uno ancor prima della comparsa della vita, al di là dei comuni apprezzamenti che spesso nascondono la compiacenza: talentato, di gande valore, vigoroso, spirito innovativo, ecc. Nel caso di Adrian Costea, andiamo direttamente alla grande visioneEbbene, la sua scultura copre l'altra faccia dell’opera di Brâncuşi. È semplicemente il precursore ed il successore di Brâncuşi, questo è il grande paradosso!”

 

Contento, ma ancora stupito, ho consegnato e pubblicato all’epoca, questa irrevocabile sentenza del più grande ed importante critico d'arte contemporanea di Romania. Ma solo adesso, comincio a capire e comprendere appieno, il significato e la profondità reale delle ultime due frasi di sopra, che potrebbe essere la chiave della risposta che ho tanto cercato: La sua scultura copre l'altra faccia dell’opera di Brâncuşi. È semplicemente il precursore ed il successore di Brâncuşi, questo è il grande paradosso!”. Infatti, Adrian Costea stesso, mi ha fatto per tutta la durata del 2011, la seguente confessione: Sono arrivato allo studio di Constantin Brâncuşi davanti al Centro Pompidou dopo oltre 20 anni della sua morte. Sono stato lì da solo, due ore, tempo in cui nessuno mi ha disturbato. Ho toccato tutto, ho preso tutto in mano: cose, opere, attrezzi, tutto, tutto. E mentre facevo questo, sono stato avvolto da un sentimento preciso e travolgente, che ho tuttora, che Brâncuşi ha trovato verso Dio una strada che è solo sua, strada che non può essere continuata, copiata, imitata, duplicata da nessuno, mai. Questa strada è unica e si è chiusa al momento della sua morte. Ma, con l'ambizione e le energie interne che mi tormentavano all’epoca, sono andato via anche con la conclusione che Brâncuşi sarà stato un genio, ma perché io non lo sarei? Non mi rimane altro che trovare una strada che sia solo mia e che inizi e finisca solo con me. Entravo, praticamente, in quel momento, in gara con Brâncuşi. Una gara grave e aggressiva, di vita e di morte”.

 

 

Yeshwant Rao Holkar il II, il Maharaja di Indore, colui che, nel 1933, commissionò a Constantin Brâncuși „Il Tempio della Contemplazione e della Liberazione”

 

Dunque, questo aveva capito il giovane Adrian Costea all'epoca: che era entrato in una „gara grave e aggressiva, di vita e di morte”. Questa testimonianza indubbiamente dimostra l'esistenza, nel pensiero dell’artista Costea, sin dal 1977, una determinazione feroce, impulsiva e istintiva di crearsi in forza la propria strada, ma anche un’estrema incompatibilità con qualsiasi forma di compromesso. Un atteggiamento fermo e un bisogno di libertà parossistica, persino viscerale, ad un rischio molto elevato. Tuttavia, credo che, in realtà, l'artista sia entrato, senza la sua volontà, in una simbiosi implacabile, semplicemente infettando” se stesso, sia naturalmente, che figurativamente, dal grande sogno, però mai realizzato, di Brâncuși. Perché il più grande scultore moderno del mondo, ha avuto un sogno simile: Il Tempio della Contemplazione e della Liberazione”, commissionato nel 1933 a Constantin Brâncuşi, da Yeshwant Rao Holkar II, il Maharaja di Indore.

 

Brâncuşi ha lavorato a stretto contatto a questo progetto, tra gli altri, anche con l'architetto rumeno Octav Doicescu (foto), dal 1933 al 1937.

Però lo scultore rumeno è arrivato in India solo a gennaio del 1938, quando, per ragioni sconosciute fino ad oggi, ha saputo e scoperto sul posto, che attraverso una svolta o voltafaccia” di ultimo momento del destino, non avrebbe potuto continuare il progetto tanto desiderato. In questo contesto penso che sia necessario sottolineare che il 13 luglio 1937, la moglie del Maharaja Yeshwant Rao Holkar II, la Maharani Sanyogita, morì brutalmente e inaspettatamente. È possibile che questo tragico evento abbia trasformato il progetto del futuro tempio, creandoli inevitabilmente, anche la funzione di tempio funebre, che forse, attraverso il rimbalzo ha cambiato la sua finalità...

 

Penso che durante quel misterioso incontro” di fronte al Centro Pompidou, „Constantin Brâncuși” abbia trasmesso in qualche modo, il messaggio al giovane ribelle, la missione o addirittura il comando di prendere la stafetta e proseguire fino alla fine, il suo sogno non realizzato. Ed ecco come la somiglianza tra Constantin Brâncuşi e Adrian Costea inizia ad assumere un significato completamente diverso, rispetto a quello molto banale e prevedibile dell'affinità artistica che, in realtà, non esiste e non è mai esistita. In questo momento, la chiarezza chirurgica dell'osservazione del critico d'arte Pavel Şuşară che la scultura di Costea copre l'altra parte dell’opera di Brâncuşi” è completamente decodificata dalle due visioni non realizzate dei due grandi artisti: da un lato Il Tempio della Contemplazione e della Liberazione” di Constantin Brâncuşi e, dall'altro, il complesso concettuale/monumentale „Il Tempio della Vita e della Morte” di Adrian Costea – penso io, rischiando una definizione personale del progetto bicefalo” „À la recherche du temps perdu, un voyage vers le centre de l’être – Alla ricerca del tempo perduto” / „La Corne d'Abondance de Gaïa – La Cornucopia di Gaia”. E oso – perché no? – a sognare, a mio avviso, che una possibile realizzazione del progetto di Adrian Costea significherebbe, in assoluto, anche giustizia fatta all'altra parte”, cioè di Constantin Brâncuşi.

 

   

Constantin Brâncuși assieme alla sua allieva, Milița Petrașcu, l’insegnante di Adrian Costea

 

Eppure, mi chiedo: perché tanta eternità intorno ad un attimo, intorno ad un capriccio della creazione divina, sia essa la più complessa tra le effimeridi – l'UOMO ? Forse, credo, anche perché questa effemeride è l'unica che può recuperare e ricostituire l'eternità. Ed ecco come il DNA della creatività di Adrian Costea si intrufola timidamente, ma strisciando, perseverante e simultaneo, tra quasi tutte le culle delle varie culture antiche che, almeno a prima vista, sono separate di tutto, ma soprattutto dello spazio.

 

Il misterioso ecumenismo artistico di Costea, di cui enigmatiche origini e radici nemmeno egli è stato ancora edificato, impone il compito di essere unico. Il prezzo, tuttavia, è stato e sembra essere, successivamente, su misura.

 

La conclusione può essere solo e sempre la stessa, ripetitiva e identica, tra le altre, uguale a quella del mio collega di gilda, il critico d’arte Pavel Şuşară: Adrian Costea non assomiglia a nessuno ed a niente.

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La Leonessa di Guennol è una scultura Proto-Elamitica di 8,3 cm, datata 3000-200 a.C. Quest’opera è stata scoperta al Tempio Shara di Tell Agrab, da Leonard Woolley, nelle sue ricerche nei pressi di Baghdad tra il 1924 ed il 1934, nel luogo chiamato Valle Diyala. Dopo la scopeeta, questa entrò in possesso del grande gallerista Joseph Brummer (1883 - 1947), nato a Sombor, e cresciuto a Seghed in Ungheria. Desideroso di diventare uno scultore, Joseph Brummer, dopo aver studiato l'arte a Budapest e Monaco di Baviera, ha frequentato i corsi all'Accademia „La Grande Chaumière” di Parigi, dove tra gli altri, ha avuto come professori Auguste Rodin e Henri Matisse. È stato molto amico di tutti i grandi artisti del tempo, tra cui Henri Rousseau, Modigliani, Paul Kllee, Picasso, ma anche Milița Petrașcu e Constantin Brâncuşi, per cui Joseph Brummer ha organizzato nella sua galleria a New York, due grandi mostre personali.

  

Prima nel 1926, dove sono state esposte 71 sculture dell’artista e una seconda nel 1933, quando solo 58 opere sono state presentate al pubblico americano. La Leonessa di Guenol, rimase in possesso del gallerista fino alla sua morte. Joseph Brummer ha detnuto una collezione gigante di circa 7.000 oggetti diversi, dalla preistoria e fino ai più moderni artisti contemporanei alla suo epoca. Dopo 60 anni, quando fu esposta continuamente al Museo d'Arte di Brooklyn, ma esclusa da qualsiasi forma di attualità, la Leonessa di Guennol scoppiò in modo spettacolare sul mercato internazionale dell'arte, il 5 dicembre del 2007, quando fu venduta alla Soteby/New York per 57,2 milioni di dollari, nonostante il fatto che le stime più esuberanti non superassero 18 milioni di dollari. Per un periodo di qualche anno, ha tenuto il record mondiale dell'opera d'arte più costosa mai venduta all'asta. 

 

** L'immagine di Romania non era affatto brillante, anche prima di dicembre 1989, ma gli eventi estremamente violenti della fine di quell'anno e quelli immediatamente dopo, avevano fatto questa immagine, già in cattivo stato, crollasse nel vuoto ed in onde successive, distruggendo, da terra, ciò che rimaneva della credibilità di Romania come paese, ma anche dei romeni come popolo e nazione. In breve, questa era la situazione delle cose, quando nell'estate del 1992, Adrian Costea appena arrivato da Parigi, dopo molti anni di assenza dal paese, per richiesta espressa del presidente dello Stato romeno, decise, dopo una rapida valutazione personale di solo poche settimane, di intervenire, da solo e di propria iniziativa, per fermare l’immensa caduta di cui sopra, mettendo a disposizione di tutti i grandi leader con potere di decisoone sul pianeta terra, un documento autentico e comprovante, ampio, generoso, compatto, onesto, solido e forte tramite la sua forza d’impatto visivo-informativo, che dimostri, senza diritto d’appello, che c’è speranza, perché c'è un’altra Romania con i suoi romeni, una Romania molto diversa dalle immagini così spaventose e degradanti, presentate frequentemente sugli schermi dei televisori di tutto il mondo, insieme ad infinite cascate di stigmatizzazioni scritte e trasmesse su questo argomento da tutti i media e stampa del mondo. Fermamente convinto dell'imperativa ed urgenza assoluta di questa necessità, Costea ha creato un vettore di comunicazione visiva internazionale, sotto forma di un'antologia in immagini, un libro documento che contiene oltre 500 fotografie-testimonianza, tutte a colori e tutte fatte da lui stesso nel corso di un servizio fiume, svoltosi su tutto il territorio della Romania, servizio iniziato nell'agosto del 1992 e concluso nell'agosto del 1996.

 

 

L’opera (25 cm x 35 cm x 5 cm, con un peso di quasi 5 chilogrammi), è stata stampata successivamente tra il 1996 e il 1997, per un totale di 130.000 copie, di cui 110.000 sono state nominalmente distribuite in 144 paesi, in particolare, direttamente nelle mani di tutti coloro che si trovava e dipendeva all’epoca, il destino del mondo, ma non solo. Costea, questo personaggio „dantesco”, con limiti indescifrabili, ha inventato ed eseguito discretamente, da solo e di propria iniziativa, un'ampia operazione di comunicazione visiva internazionale a favore e nel vantaggio unico e assoluto della Romania e dei romeni, operazione che si è dimostrata ad essere per la sua qualità, la quantità e, soprattutto, per il suo scopo finale, di una singolarità e ampiezza senza precedenti nella storia dell'umanità. Per quanto mi riguarda, ho analizzato tanto e da vicino questa antologia e cerco solo l’occasione giusta per esprimere la mia opinione. Per il momento, l’unica analisi puntuale, ma estremamente profonda e reale di questo capolavoro per la nazione romena, che circola liberamente nello spazio pubblico, è l'analisi scritta approfondita e pragmatica da parte dello psicologo Aurelian Muşat, analisi non esaustiva, che è stata pubblicata sul sito Certitudinea – La Certezza il 13.11.2016, sotto il titolo „Eternele et Fascinante Roumanie – Eterna ed Affascinante Romania, analisi di un concetto storico e dell’identità”. Ho detto non esaustiva, perché si riferisce solo alla bellezza di questo libro documento, incontestabile ed imbattibile, anche 25 anni della sua „nascita”, ma il suo valore reale e veramente maggiore, è stato dato dal suo scopo finale , che include sia la qualità che il numero degli obiettivi scelti e raggiunti su tutto il pianeta, a cui devono ancora essere aggiunte anche le conseguenze nel tempo, attraverso riverberazione, conseguenze che continueranno ad esistere e manifestarsi e che continueranno a persistere per tante altre generazioni, tramite la semplice trasmissione di questo lavoro di riferimento, di mano in mano, e quindi dalla biblioteca alla biblioteca. 

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MIRON MANEGA

 

  • Scrittore, giornalista e poeta
  • Presidente del Dipartimento L'arte mediatica di ACOAR (Associazione dei Commercianti d'Arte in Romania)
  • Consulente dell’Associazione degli Esperti e dei Valutatori d’Arte di Romania (AEEAR)
  • Critico e analista del mercato internazionale d’arte
  •  Fondatore e coordinatore della piattaforma culturale  CERTITUDINEA www.certitudinea.ro
  • Direttore letterario e editoriale del giornale „CERTITUDINEA”

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Vedere anche  „QUASI TUTTO SULLO SCULTORE ADRIAN COSTEA”

 

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Autor: Miron Manega
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